Domenica è stata una bella giornata di sole: se non fosse stato per un tagliente vento di Bora da nord est, sarebbe stato come a maggio: la prospettiva delle vacanze, gente a passeggio sia al mare che in montagna, l’eco lontana degli ultimi no vax e le visioni confuse di qualche mascherina al cinema e al ristorante, spazi per liberarsi di un incubo con grandi abbuffate. Questa non è la reazione al collasso, è piuttosto l’adattamento a soluzioni che non ci sono. Assomiglia di più ad un trip allucinogeno, ad uno dei tanti fragili riflessi che i vetri rotti della nostra coscienza usano per godere della terrificante visione del neoliberismo. Invece il collasso è al lavoro 24/7, senza che noi, evoluta massa di proteine, ce ne accorgiamo. Ci passa accanto. Pazienza.
Pochi giorni fa, per la precisione venerdì 22 ottobre, l’Intersindacale della Dirigenza Sanitaria del FVG ha divulgato un comunicato stampa che è importante riportare per intero.
“Era il 2020. Sui giornali i Medici, i Dirigenti Sanitari, gli Infermieri, erano gli ”eroi“, gli “angeli”. Fotografie di chi, dentro gli ospedali, con gli scafandri, salvava le vite dei malati COVID. Tutti ad osannare lo spirito di sacrificio, l’abnegazione, la disperata resistenza alle ondate di pazienti che si presentavano ai Pronto Soccorso (ricordate le ambulanze in fila?). Medici ed Infermieri morti nell’esercizio della loro professione.
Ottobre 2021.
È tornata la normalità. Ognuno al suo posto! La Giunta Regionale del Friuli Venezia Giulia, con la Delibera 1446 del 24/9/2021, configura il futuro del Servizio Sanitario Regionale in applicazione del PNRR nazionale. Centrali operative territoriali, Ospedali di comunità, Cure intermedie, Distretti, Case della comunità. Bene! Belle strutture! Ma il personale per farle funzionare dove lo troviamo? Nell’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale (ASUFC) rispetto al 2018 mancano 370 unità (cifre dall’Azienda). C’è qualche traccia di investimenti sul personale nei piani della Regione? E di tutto questo si è mai parlato con i veri rappresentanti dei Dirigenti Medici/Sanitari, cioè le loro associazioni sindacali? NO
Sono mai stati coinvolti nella elaborazione dei documenti? NO
Protocollo di intesa Regione Università: snodo centrale della programmazione e gestione del Servizio Sanitario di questa regione. Ci era stata promesso dall’Assessore Riccardi e dal Direttore centrale Zamaro una consultazione prima della firma definitiva. È stato fatto? NO
Atti aziendali: sono la “Costituzione“ delle Aziende Sanitarie. Sembra che siano in fase finale di elaborazione. Sono stati coinvolti i Dirigenti Medici/Sanitari? NO
Quando abbiamo chiesto un confronto preliminare sugli atti aziendali, ci è stato risposto che non avevamo alcun ruolo. Saremo informati a cose fatte.
Stiamo aspettando da due anni ormai la applicazione del CCNL: sono stati assegnati gli incarichi professionali? NO
I Comitati Paritetici sono stati costituiti nelle Aziende? NO
Siamo ad Ottobre 2021: la discussione sulla distribuzione dei Fondi Aziendali e delle Risorse Aggiuntive Regionali per la Dirigenza, nelle singole Aziende, non è ancora avvenuta. Con quale programmazione possibile, a due mesi dalla fine dell’anno? Di questi giorni la notizia che i Dirigenti Medici/Sanitari avrebbero anche l‘onere di verificare il Green Pass di pazienti e personale sanitario.
Anche controllori, ma ormai non ci sono limiti!
Anche la Dirigenza professionale tecnica amministrativa lamenta un sistema di attribuzione degli incarichi allo sbando. Pare molto difficile trovare delle differenze nella gestione del Servizio Sanitario Regionale tra la precedente Giunta, con il binomio Serracchiani-Telesca, e l’attuale Fedriga-Riccardi: i buoni propositi iniziali del maggio 2018 avevano suscitato le nostre speranze, ma non corrispondono ai fatti che vediamo.
All’Assessore Riccardi, al Direttore Centrale Salute, ai Direttori Generali delle Aziende Sanitarie, diciamo che tutto questo non va bene. Abbiamo atteso con pazienza: ci siamo fidati delle promesse. Il silenzio “assordante“ da parte dei responsabili, a questo punto, non è più tollerabile. Ma siamo tornati alla normalità (o normalizzazione): da “eroi” a “fattori della produzione” che eseguono ordini”.
AAROI-EMAC Alberto Peratoner
ANAAO-ASSOMED Valtiero Fregonese
ANPO-ASCOTI-FIALS MEDICI Antonio Maria Miotti
CISL MEDICI Nicola Cannarsa
FASSID Stefano Smania
FEDIRTS sez. FEDIR Samuel Dal Gesso
FPCGIL Calogero Anzallo
FVM Patrizia Esposito
È tornata la normalità, recita ad un certo con una certa ironia questo atto di accusa. Questa normalità, una certa cultura monotematica, la conosciamo benissimo perché è “vecchia come er cucco” e non funziona più. La Ragioneria Generale dello Stato, quindi qualcuno con una certa autorevolezza e credibilità lo ha certificato: il personale dipendente a tempo indeterminato del Servizio Sanitario Nazionale è passato dai 690 mila del 2008 ai 647 mila del 2017. Parliamo di una riduzione complessiva di 43 mila unità in poco più di dieci anni. Sempre questo ente criticone ci dice che a partire dal 2013 si è fatto maggiore ricorso a tipologie di lavoro precario. Nell’intervallo di tempo analizzato (2008-2017) sono così aumentate: contratti a tempo determinato e in formazione lavoro +0.6%, contratti di somministrazione +45.3%, lavori socialmente utili +6.2%. Un altro guastafeste, il Ministero della Salute, ci dice che i posti letto complessivamente disponibili nelle strutture pubbliche sono diminuiti dai 187 mila del 2010 ai 157 mila del 2018. Si tratta di una riduzione equivalente a quasi 30 mila posti, pari al 15,9% del totale. C’è forse qualcosa che non va se negli ultimi dieci anni sono andati persi quei 37 miliardi che la fondazione Gimbe ha certificato come tagli, tagli e ancora tagli? Io direi di sì.
Un anno fa anche l’ortodossa rivista scientifica tedesca Intereconomics, attenta a questioni di politica economica e sociale, grancassa del cuore dell’Unione europea, ha riportato un allarmante studio di tre economisti, due tedeschi e un italiano che candidamente dice le stesse cose: decenni di politiche fiscali stringenti da parte dello Stato italiano hanno lasciato il Servizio Sanitario Nazionale impreparato ad affrontare la pandemia di coronavirus. Dal paper emerge anche il chiaro legame tra le politiche di contenimento della spesa pubblica e il peggioramento di una serie di indicatori legati alla sanità (spesa sanitaria, spesa sanitaria pro capite, numero di ospedali, numero di posti in terapia intensiva e via dicendo) che sono stati imposti dalla necessità per l’Italia di rispettare i criteri di Maastricht (introdotti nel 1992) e del Patto di stabilità e crescita (introdotti nel 1997).
Da un futuro passato rieccoci nel presente. La medicina delle catastrofi, l’ambito scientifico che si occupa di mettere a punto una risposta sanitaria adeguata di fronte a situazioni emergenziali e alla conseguente scarsità di risorse mediche, è arrivata fino a noi per passare il testimone alle politiche di oggi. L’attacco al Sistema Sanitario Nazionale è un fatto d’attualità ma non è cominciato con l’arrivo del virus. È scattato ben prima.
Ce li ricordiamo bene quelli che negli ultimi vent’anni hanno fatto diligentemente i compiti per casa: sia Tondo e Kosic con le loro “riqualificazioni” che Illy e Beltrame con gli originali accorpamenti. Ovviamente non possiamo dimenticare Serracchiani e Telesca con le promesse mancate e il duo Fedriga Riccardi con i loro zitti e buoni, facciamo tutto noi. In questo modo il quadro non è esaustivo ma è sufficientemente completo per farsi un’idea.
Arrivati a questo punto ci si potrebbe chiedere: a che cosa sono serviti tutti questi tagli? Ce lo sintetizza benissimo un noto scienziato, linguista e attivista politico americano, Noam Chomsky: “questa è la strategia per privatizzare: tagliare i fondi per assicurarsi che i sevizi non funzionino. Conclusione? la gente si arrabbia e i servizi essenziali vengono consegni al capitale privato”. Questo è il meccanismo.
Non ci sono upgrade da apportare ad un sistema che non funziona più. Bisogna cambiare sistema e cercare ispirazione da chi la distruzione e la sofferenza l’ha vista da vicino. «Se dovessi fare il ministro reintrodurrei la dicitura Ministero della Sanità Pubblica. Con me non ci sarebbero convenzioni con i privati. Non un euro. Io sono per una sanità pubblica, di alta qualità e totalmente gratuita. Per ri-costruirla non servirebbero nemmeno altri investimenti. Bisognerebbe smettere di rubare. Almeno trenta miliardi l’anno finiscono in profitto. Quando una struttura sanitaria che dovrebbe essere ospitale con chi soffre diventa un’azienda in cui si gioca con i rimborsi e il pagamento a prestazione, si mette in atto un crimine sociale» Gino Strada.