A leggere articoli di giornale, editoriali, analisi, post, commenti, tweet e tutto l’armamentario comunicativo della politica nell’era della digitalizzazione integrale, sembra che la nostra sfera politica sia solcata da una netta linea di frattura che divide in due l’Italia: chi è per Conte e chi no, una sorta di Conte contro tutti.
Pare quasi di essere tornati ai tempi della guerra fredda interna tra comunisti e democristiani, Conte, suo malgrado, è forse il personaggio politico più “divisivo” della storia repubblicana, per usare una parola della neolingua politica oggi in voga. Ha egemonizzato la campagna elettorale con le sue parole d’ordine dopo essere stato il movente scatenante della caduta di Draghi, ha evitato il tracollo dei cinquestelle con un consistente 15% confermandosi leader del sud, ha pressato il Pd mettendolo in un angolo nel dopo campagna elettorale, ha occupato l’area progressista con implicazioni interessanti per il futuro di una parte del paese che non si sente rappresentata dalla sclerotica burocrazia piddina, è stato il protagonista della preparazione della manifestazione della pace di sabato nonché della giornata stessa, insomma, rispetto alla deriva confusionaria del Pd lettiano all’insegna del “ma anche” di veltroniana memoria, Conte si è ritagliato uno spazio importante nell’arena politica italiana. E questo non va giù alla stampa confindustriale e a pezzi consistenti del mondo economico, con annessi portaborse politici.
Non è questa la fase dei distinguo, portati soprattutto da chi oltrepassa a malapena l’ uno per cento, da chi non prende voti ma riempie di bandiere le piazze, per chi nutre sentimenti progressisti e di sinistra si è aperto uno spazio, forse piccolo, ma è l’unica cosa che c’è in campo, poi se si vuole percorrere la strada del minoritarismo eterno non c’è problema, si può saturare fb di ricordi dei decreti sicurezza e di quanto è trasformista l’avvocato pugliese.