Nato a Lione nel 188 d.C. Lucio Bassiano ebbe e cambiò molti nomi nel corso della sua breve esistenza, ma è passato alla Storia col soprannome di Caracalla, per via della tunica di foggia gallica che usava indossare. Suo padre era Settimio Severo, un uomo d’arme d’origine nordafricana che, grazie al talento bellico e all’assoluta mancanza di scrupoli, si issò sul trono imperiale sottraendolo a Pertinace (che l’aveva usurpato a sua volta).
Il terzo dopo Cristo è il secolo dell’anarchia militare e dell’incessante guerra intestina, ma Settimio è una personalità fuori dall’ordinario: conduce numerose campagne vittoriose “all’estero”, ampliando i domini romani in territorio britannico, e per legittimarsi agli occhi dei sudditi millanta un’inverosimile parentela con Marco Aurelio e Commodo, che viene così riabilitato. Il condottiero ha due figli, Bassiano e Geta, fra i quali non corre buon sangue: lui però non fa preferenze e progetta un’improbabile diarchia. Dei rampolli Caracalla si rivela il più deciso e spietato: pare che in Scozia abbia attentato alla vita del padre – che, pur addolorato, fa finta di nulla – ma quando quest’ultimo muore di malattia rivolge le sue cure a Geta, a sua volta ostile al fratello maggiore. Definirli separati in casa sarebbe improprio, visto che ciascuno vive nel proprio palazzo circondato da una cerchia di fedelissimi.
Il busto di Bassiano-Caracalla è a mio parere uno dei capolavori della ritrattistica romana: non c’è traccia alcuna di idealizzazione, l’uomo è raffigurato per quello che è, con i suoi tratti grossolani e lo sguardo torvo e minaccioso. Abbiamo l’impressione di guardare in faccia un nostro contemporaneo, ma di quelli da cui conviene girare al largo: il Caracalla che incontriamo all’ingresso delle Terme edificate a poca distanza dalla Piramide Cestia sembra uno dei protagonisti della serie Suburra, e sarebbe credibile nei panni del Libanese. Era basso e tarchiato, ma muscoloso e forte – sono i suoi comportamenti, tuttavia, a rivelare un’indole da gangster. In epoca imperiale le condanne a morte fioccano anche in assenza di delitti, ma raramente un sovrano si lorda le mani di sangue: c’è sempre una pletora di “volonterosi carnefici” a disposizione! Il nostro invece non bada alle apparenze: al culmine di un alterco sgozza di suo pugno il fratello minore, vanamente rifugiatosi tra le braccia della (comune) madre Giulia Domna. Un arguto senatore, ironizzando sulla vanagloria militare del principe, gli affibbierà il titolo di “Getico”: battuta spiritosa e salace, ma pagata con la vita (le eliminazioni di oppositori e presunti tali sono comunque all’ordine del giorno).
Caracalla è violento e brutale, e non si preoccupa affatto di nasconderlo: lo odino pure, purché lo temano. In realtà, a onta dell’aspetto rude e plebeo, il giovane imperatore sa dimostrarsi all’occorrenza riflessivo e calcolatore: gli storici scriveranno di lui peste e corna, ma nessuno gli darà mai del pazzo.
Seguendo l’esempio dello “zio” Commodo, che ammira, Bassiano si compra con montagne di sesterzi la fedeltà delle truppe, ma a differenza del modello vagheggia grandi imprese militari e mostra una certa attitudine al comando. È anche afflitto dal “mal della pietra”, ma non costruisce per il mero gusto di farlo: il suo lascito alla posterità sono le già citate terme, che potevano quotidianamente ospitare migliaia di “bagnanti”. Si tratta di un complesso enorme, che lascia ancor oggi sbalordito chi lo visita (a me è capitato lo scorso ottobre) e che è anzitutto un’opera pubblica utile e, in termini di consenso immediato, remunerativa. La giornata dei romani iniziava allo spuntar del sole e si concludeva al suo tramonto: i banchetti dei ricchi potevano protrarsi fino a notte inoltrata, ma il cittadino medio non ardiva avventurarsi di sera nelle strade buie e insidiose. I quiriti di ogni ordine e censo sonnecchiavano forse più a lungo di noi, ma di sicuro lavoravano meno (o non lavoravano affatto, visto e considerato che la produzione di beni e servizi era demandata agli innumerevoli schiavi) e godevano perciò di molte ore libere da riempire. Gli svaghi erano quelli che la tecnologia dell’epoca consentiva: gli adulti affollavano il foro in occasione di dibattiti e processi pubblici oppure trascorrevano mattine e pomeriggi a teatro o assiepati sugli spalti delle arene. Si ha notizia di giochi gladiatori durati mesi interi, ma a essere sempre aperti – e a ingresso gratuito – erano i bagni pubblici, dove si nuotava (nell’acqua bassa), si faceva ginnastica, ci si rilassava nei calidaria e tepidaria, si tessevano relazioni e soprattutto si oziava, chiacchierando del più e del meno. Edificare magnifiche terme era un oculato investimento in popolarità, ma per le opere pubbliche allora come oggi occorrevano fondi: lo scaltro primogenito di Settimio Severo se ne procurò a profusione “concedendo” (di fatto: vendendo) la cittadinanza romana a tutti i sudditi dell’impero con la Constitutio Antoniniana datata 212 d.C.
Caracalla era insomma un tiranno dal cervello fino, che aveva però un punto debole: la smania di gloria – non gli bastava eguagliare e superare il padre, ambiva ad assurgere a “nuovo Alessandro”. Per questo dopo una serie di spedizioni dall’esito incerto contro i barbari Alemanni ne progettò una grandiosa: l’obiettivo era sottomettere la Partia, cioè l’unica potenza rivale di Roma. Dapprincipio ottenne qualche successo, ma giunto alla fatale Carre andò incontro al suo destino. La fine fu più ingloriosa e beffarda di quella toccata oltre 250 anni prima a Crasso: appartatosi per espletare un umanissimo bisogno fisiologico fu accoltellato alle spalle dal prefetto Macrino. Così moriva, neppure trentenne, un uomo imprevedibile e crudele, ma ricco di ingegno e nient’affatto privo di fiuto politico, il cui soprannome è sfuggito all’oblio grazie a realizzazioni rivelatesi più durature di un effimero successo militare.
Si apriva a questo punto una crisi che per mezzo secolo apparve senza sbocchi: il successore Eliogabalo – anche lui un Severo – si segnalò solo per eccentricità e lussuria, mentre il virtuoso Alessandro Severo fu una marionetta nelle mani di donne assetate di potere e poi dell’avverso fato. Personaggi illustri e capaci come Claudio II, Aureliano, Diocleziano, Costantino, Giuliano e Teodosio avrebbero in seguito retto le sorti di un impero comunque avviato a un’inesorabile decadenza: si può risalire un tratto di fiume a bracciate, ma alla fine la corrente ha sempre il sopravvento.