Il 4 novembre di ogni anno festeggiamo la fine della guerra intrapresa nel 1915 contro l’Impero Asburgico.
Sul sito del Ministero della difesa si legge che il 4 novembre si celebra il “Giorno dell’Unità Nazionale” e “Giornata delle Forze Armate”, in ricordo della fine della Prima guerra mondiale.(1)
Nella parte descrittiva della pagina dedicata alla ricorrenza, viene detto che “L’Italia il 4 novembre ricorda, commemorando i suoi Caduti, l’Armistizio di Villa Giusti (entrato in vigore il 4 novembre 1918) che consentì agli italiani di rientrare nei territori di Trento e Trieste, e portare a compimento il processo di unificazione nazionale iniziato in epoca risorgimentale.”
È scritto inoltre: “Stato unitario solo dal 1861, l’Italia entrò nel conflitto con ancora vive le emozioni e le convinzioni risorgimentali” e, ancora, “L’impegno militare lungo il confine nord-orientale, dallo Stelvio agli altipiani d’Asiago, dalle Dolomiti all’Isonzo e fino al mare, fu la testimonianza di quel profondo sentimento di amor di Patria che animò i nostri soldati e gli Italiani in quegli anni. L’Italia dimostrò di essere una Nazione e alimentò questo senso di appartenenza con la strenua resistenza sul Grappa e sul Piave, fino alle giornate di Vittorio Veneto.”
Infine, “Le Forze Armate, ricordando la raggiunta unità nazionale, onorano il sacrificio di oltre seicentomila Caduti e di tante altre migliaia di feriti e mutilati, con sentimento di gratitudine che la festa del 4 novembre vuol mantenere vivo poiché è dall’esperienza della storia che nascono i valori irrinunciabili di una Nazione. Il significato del ricordo della Grande Guerra non è quello della celebrazione di una vittoria, o della sopraffazione del nemico, ma è quello di aver difeso la libertà, raggiungendo una unità tanto difficile quanto fortemente voluta.”
Quindi, avere conquistato con la guerra i territori del Trentino e della Venezia Giulia per portare a compimento il processo di unità nazionale – seppure all’immane prezzo di centinaia di migliaia fra morti, feriti e invalidi –, il sentimento dell’amor di Patria e la dimostrazione del senso di appartenenza alla Nazione sono tutti elementi positivi e da tramandare, tali da essere elevati al rango di celebrazione ricorrente negli anni.
La festività del 4 novembre ci rimanda però alla constatazione di quanto sia facile strumentalizzare – anche subdolamente – eventi storici e valori a essi associati. Un dato valore, all’interno di una cornice culturale di riferimento, dovrebbe essere immutabile nel tempo e nello spazio. Se, dunque, riportare connazionali entro la madrepatria è per noi un valore riconosciuto come positivo, ciò dovrebbe valere in tutte le epoche e dovrebbe essere applicabile a qualunque latitudine.
Nel 2023 attribuiamo all’unificazione nazionale lo stesso spessore di idealità che le è stato attribuito 105 anni fa. Per una sorta di proprietà transitiva, altrettanto dovrebbe essere valido per qualunque nazione.
Tuttavia, pare che noi non abbiamo un livello di interesse e di onestà tali da applicare quello stesso valore a situazioni storico-politiche che, sotto diversi aspetti, possono essere qualificate come analoghe.
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Il Ministero della difesa e le altre istituzioni non accennano minimamente alle circostanze e alle modalità con le quali il Regno d’Italia, nel maggio del 19 15, entrò nella Prima Guerra mondiale. Si limitano a nobilitare e glorificare il risultato, l’annessione delle terre ‘irredente’ al Regno d’Italia e l’immissione nella comunità nazionale degli italiani che vi abitavano.
Non viene detto che il Regno d’Italia era allora un ‘giovane’ Paese che aspirava ad assurgere al livello di potenza per potersi inscrivere nell’ambito delle forze coloniali e imperialiste europee. Non viene nemmeno detto che tale postura portava il Paese ad aggressive avventure espansionistiche. (Ad es., l’attacco all’Impero ottomano nel 191 1/1912 per la Libia).
Ebbene, dopo circa dieci mesi di tergiversazioni, incertezze e di ‘esplorazioni’ alla ricerca del miglior offerente – la Triplice Intesa o la coalizione austro-tedesca – l’Italia decise di stracciare il Trattato di alleanza che la legava all’Impero dell’Austria-Ungheria e di aggredire militarmente quest’ultimo. (Proprio così, il 24 maggio le truppe italiane varcarono i confini orientali, puntando verso l’Isonzo).
In cambio del suo ingresso nelle ostilità, Francia e Gran Bretagna avevano da offrire all’Italia più di quanto poteva venire a essa promesso dall’Austria in cambio di una posizione di neutralità. Anche perchè, riguardo ai guadagni italiani sul piano territoriale, le potenze dell’Intesa non avrebbero avuto nulla da perdere. (Comunque, a guerra conclusa, le ambizioni italiane non verranno interamente soddisfatte).
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Ora, da oltre un anno e mezzo ci viene raccontato, da parte della classe politica e delle agenzie informative e culturali del Paese, che un’aggressione armata è un atto riprovevole e da condannare senza appello.
Alla fine di febbraio 2022 la Russia ha aggredito l’Ucraina quindi, ci viene ripetuto, dobbiamo schierarci con quest’ultima. ( Non si può però esplicitare il dettaglio che – di fatto – partecipiamo indirettamente alla guerra). Anche perché l’integrità territoriale è un altro sacro e inscalfibile principio. E poi, per poter meglio condannare la condotta della Federazione russa, accusiamo quel Paese di imperialismo e di espansionismo, (il che, veramente, non regge dinanzi alla prova dei fatti), tralasciando che quegli stessi elementi sono stati ‘costitutivi’ del successo al quale, ogni 4 novembre, tributiamo tutti gli onori.
Pare proprio, allora, che un atto di aggressione sia diversamente qualificabile, giudicando a seconda dell’attore che lo intraprende e delle convenienze del caso.
Una delle ragioni che, dopo lunghe e inconcludenti schermaglie diplomatiche con gli USA e con la NATO, ha alla fine indotto Putin a rompere gli indugi, è stata proprio la presenza di popolazioni stanziali russe nell’est dell’Ucraina.
È difficile credere che al Paese più esteso del mondo interessasse una striscia di territorio in più. La Federazione russa si sarebbe benissimo accontentata di uno statuto di autonomia nonché del rispetto della lingua e della cultura russa nelle due regioni di Donetsk e Luhansk.
E, in effetti nel 2015, per ben due volte – con gli accordi di Minsk 1 e Minsk 2 –, proprio questo era stato promesso ai russi. Però, gli accordi non hanno trovato concreta attuazione. Gli USA e la NATO si sono incaponiti nell’armare e finanziare doviziosamente i governi sempre più nazionalisti di Kiev, impegnati in un vero e proprio conflitto armato contro le popolazioni russe delle due regioni.
Verso la fine del 2022 Angela Merkel ha ammesso davanti alla stampa tedesca che gli accordi di Minsk sono serviti alla NATO per guadagnare tempo al fine di poter armare adeguatamente l’Ucraina. (Come dire che un confronto fra la NATO e la Russia era già messo in conto).
In innumerevoli occasioni, anche pubbliche, Putin aveva avvertito l’occidente che una Ucraina nella NATO – e, di fatto, da questa ormai già militarizzata –, rappresentava una ‘linea rossa’ oltrepassata la quale la Federazione russa non poteva restare inerte. Che in Ucraina erompesse un conflitto fra la NATO e la Russia era, insomma, uno degli eventi più prevedibili della storia recente. (2)
Ecco, dunque vi sono casi in cui un atto di guerra è nobile e giustificato e vi sono casi in cui un atto simile è esecrabile e va combattuto soltanto perché non corrisponde ai nostri interessi. Il 4 novembre è un chiaro esempio di selettività della memoria storica.
Nel caso di una guerra – da noi cominciata – e combattuta per i nostri connazionali sotto sovranità straniera, celebriamo la ricorrenza e organizziamo manifestazioni in occasione delle quali le nostre autorità si recano nei luoghi simbolici degli eventi per ricordare l’eroismo delle nostre forze armate.
Nel caso di una guerra intrapresa da un altro Paese per tutelare i propri connazionali (fra l’altro già in guerra) abitanti entro i confini di un Paese vicino, ci rifiutiamo invece di riconoscere il corrispondente interesse e disconosciamo qualsivoglia legittimità a intervenire.
Per chiudere, ciò che risponde ai nostri interessi, a quelli di nostri alleati o di chi reputiamo conveniente appoggiare (3) è legittimo. Ciò che risponde ad analoghi interessi di chi però reputiamo avversario, non lo è.
NOTE
1 https://www.difesa.it/Content/Manifestazioni/4novembre/2023/Pagine/verso_il_4_novembre.aspx
2 Ancora Angela Merkel nel 2008 aveva dichiarato che, per Putin, l’ingresso dell’Ucraina nella NATO sarebbe equivalso a un dichiarazione di guerra
3 L’ucraina non fa parte della NATO né dell’Unione europea, non abbiamo quindi obblighi giuridici vincolanti