Torna, ancora una volta, la suggestione del governo forte e stabile.
Ancora una volta, pare proprio che il Governo in carica affidi a una riforma costituzionale un valore taumaturgico. Il Consiglio dei Ministri ha approvato un progetto di legge (1) tramite il quale intende modificare diversi articoli della Carta fondamentale dello stato. (Gli articoli 59, 88, 92 e 94). La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha definito l’iniziativa “la madre di tutte le riforme”.
Il tono è, ancora una volta, palingenetico. La soluzione dei problemi che affliggono il paese dovrebbe cioè passare attraverso una rimodulazione dell’assetto degli equilibri degli organi costituzionali. E, ancora una volta, il baricentro del sistema dovrebbe essere decisamente spostato verso l’organo esecutivo.
Se l’iter di approvazione venisse perfezionato, da un lato si formalizzerebbe sul piano giuridico una situazione ‘di fatto’, ossia la perdita di rilevanza e lo scadimento del ruolo del Parlamento. (Una situazione che si protrae da molti anni). Dall’altro, però, si cadrebbe in una situazione di ‘non ritorno’ o, perlomeno, molto difficile da rimontare.
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Anche questa volta l’impulso riformatore emana direttamente dal Governo. Essenzialmente, il Parlamento dovrà procedere a una ‘ratifica’.
Il punto focale della riforma è l’elezione diretta del Presidente del Consiglio.
Nel disegno governativo si prevede che, in occasione della stessa tornata elettorale, verranno eletti sia i componenti del Parlamento che il Presidente del Consiglio dei Ministri. (Tramite un’unica scheda elettorale; non sono ancora note, ovviamente, le modalità del meccanismo per l’elezione).
Verrà seriamente menomato il fondamentale rapporto di fiducia fra i due organi, tipico dei regimi parlamentari. Nei sistemi parlamentari, in caso di disapprovazione della linea politica attuata dal governo o, in ogni caso, di deterioramento del rapporto fiduciario, il parlamento può con una sua votazione costringerlo alle dimissioni.
In base alla proposta di riforma il Premier sarà ‘blindato’: se il Presidente del Consiglio eletto non ottiene la fiducia del Parlamento, il Presidente della Repubblica gli rinnova l’incarico (ripetto al quale non aveva avuto, neanche in prima battuta, alcun ruolo attivo) e qualora di nuovo manchi la fiducia, scioglie le Camere. (In questa eventualità, il potere di scioglimento del Capo dello stato non è un potere discrezionale, bensì un obbligo). Una volta eletto, il Premier può quindi per ben due volte chiedere la fiducia e, qualora il Parlamento neghi il voto favorevole, decade esso stesso. Il destino della legislatura sarà in simbiosi con quello del Premier.
In caso di cessazione del Premier dalla carica o di sfiducia da parte delle Camere, il Presidente della Repubblica può affidare l’incarico di formare un nuovo governo allo stesso Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare della maggioranza, che è stato candidato ‘in collegamento’ al Presidente eletto.
Ciò dovrà avere luogo solo per realizzare il programma di governo e le dichiarazioni programmatiche approvate dal Premier inizialmente eletto. Se il nuovo Governo non ottiene la fiducia, il capo dello Stato deve sciogliere le Camere.
Il Presidente della Repubblica potrà apparentemente continuare a svolgere le sue funzioni di garanzia ma, in effetti, il suo ruolo subirà un ridimensionamento. Non potrà più, una volta consultate le forze parlamentari, nominare il Capo del Governo. Dovrà prendere atto dell’elezione del Premier e conferirgli l’incarico. Potrà all’occorrenza, sentiti i rispettivi Presidenti, sciogliere le Camere, ma nel caso sopra citato (mancato ottenimento del voto di fiducia favorevole al Premier) il Presidente dovrà farlo limitandosi a prendere atto di quanto accade. Il ruolo del Capo dello Stato sarà, in questi casi, quello di esecutore. Anche il caso della crisi di governo non lascerà al Presidente della Repubblica altro che esigui margini di manovra.
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Il Parlamento, sotto la costante spada di Damocle dello scioglimento, perderà i propri margini di valutazione e di controllo dell’operato del Governo.
Si percepisce, sullo sfondo, una certa diffidenza verso l’istituzione parlamentare e, in qualche modo, rieccheggia la suggestione del rapporto diretto fra il capo e le masse.
Nel testo del comunicato stampa pubblicato dal Governo (2) si può leggere che si “introduce un meccanismo di legittimazione democratica diretta del Presidente del Consiglio” (come se, finora, la legittimazione dei governi fosse dimidiata o di ordine secondario rispetto all’elezione diretta).
Come per i precedenti tentativi di revisione, “La riforma costituzionale ha l’obiettivo di rafforzare la stabilità dei Governi, consentendo l’attuazione di indirizzi politici di medio-lungo periodo”.
Inoltre, sarà utile per “consolidare il principio democratico, valorizzando il ruolo del corpo elettorale nella determinazione dell’indirizzo politico della Nazione; favorire la coesione degli schieramenti elettorali; evitare il transfughismo e il trasformismo parlamentare.”
Dietro la cortina fumogena del mandato popolare che, si deve evidentemente presupporre, dovrebbe permanere unico e inscalfibile per la durata della legislatura (come se l’umore e il consenso popolare non possano cambiare nell’arco di 5 anni), si torna a declamare la virtù medicamentosa della stabilità del governo. (Una costante degli ultimi decenni).
Come anticipato, al di là della cessazione vi è una possibilità che la figura del Capo del governo – il quale, se eletto, accede inoltre alla Camera o al Senato – possa decadere per via parlamentare: la mozione di sfiducia resta praticabile, ma il Premier (3) potrà essere rimpiazzato esclusivamente da un parlamentare che è stato candidato ‘in collegamento’ al Presidente eletto e solo per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto aveva ottenuto la fiducia. (C.d. razionalizzazione, ossia tecnica di rendere più difficile dal punto di vista politico e costituzionale la sfiducia al governo).
Ma perché fare una crisi di governo se il Parlamento non può rivedere ed emendare un indirizzo politico del Governo giudicato insoddisfacente?
Dopo avere ‘blindato’ il capo dell’esecutivo, quasi inamovibile in quanto legatissimo a un organo legislativo praticamente asservito, occorre allora assicurare la ‘blindatura’ alla maggioranza parlamentare. Non sia mai che, se cambia l’umore del Paese nei confronti del Governo, esso possa essere colto da una maggioranza diversa.(4)
Per cercare di ‘blindare’ la maggioranza si ricorre ancora una volta a una legge elettorale maggioritaria, attraverso un premio assegnato su base nazionale (5), che garantisca al partito o alla coalizione di partiti collegati al Presidente del Consiglio il 55 per cento dei seggi parlamentari.
Ancora una volta, una minoranza di elettori potrà determinare una maggioranza in Parlamento. Il Capo dello stato perderà la possibilità di nominare senatori a vita e quindi, volendo avanzare un’ipotesi maliziosa, perderà la possibilità di influire sulla maggioranza al Senato.
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Alla fine, la radice culturale della destra al potere viene fuori.
Un altro colpo alla possibilità di partecipazione della cittadinanza dal basso, del resto già sancita dalla sempre crescente astensione alle consultazioni elettorali e sfibrata da apatia, disperazione nelle probabilità di un cambiamento e conseguente disinteresse per la cosa pubblica. Ciascuno rinchiuso nel suo cantuccio è il ‘modus vivendi’ dell’era neoliberale di internet e dell’intelligenza artificiale.
Ciò considerato potrebbe forse essere, per i ‘riformatori’, la volta del successo.
Il disegno di legge costituzionale sarà ora trasmesso al Parlamento per l’avvio dell’iter di approvazione. (Articolo 138 della Costituzione). Resta da vedere con quale percentuale di maggioranza sarà approvato. Se, cioè, esso troverà il conforto della maggioranza dei due terzi delle Camere, utile a evitare il referendum popolare.
NOTE
1) “Introduzione dell’elezione popolare diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri e
razionalizzazione del rapporto di fiducia”
2) https://www.governo.it/it/node/24163
3) Il Premier potrà comunque ricevere ancora un incarico
4) In teoria una maggioranza diversa non è del tutto da escludere, resta in vigore l’art. 67 della Costituzione; ma il sostituto del Premier eletto dovrà essere un parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto, quindi dello stesso schieramento
5) Trattandosi anche qui di una riserva di legge, resta da vedere quali saranno le condizioni per l’ottenimento del premio di maggioranza, in particolare se sarà prevista una soglia minima di consensi a favore della coalizione vincente