la merce invenduta piange
e il suo dolore è tanto simile al nostro
Aldo Nove
Dopo i festeggiamenti dei milanesi per la cacciata degli austriaci dalla città, il 23 marzo 1848 le truppe sabaude guidate dal re Carlo Alberto varcarono il Ticino e dichiararono guerra all’Impero austriaco: questa campagna militare venne considerata l’unica strada percorribile per raggiungere la liberazione del Lombardo-Veneto. L’unica potenza che poteva ambire ad una simile impresa era l’esercito sardo di Carlo Alberto e fu quindi dal suo comportamento che dipese il futuro politico dell’Italia settentrionale.
A distanza di più di settant’anni pare che la sopravvivenza e la libertà degli udinesi non potrà non dipendere dall’apertura di un nuovo supermercato: l’Aldi di viale XXIII marzo. Tra tre giorni nella regione in Italia con la più alta densità di m2 commerciali alimentari per mille abitanti (360 contro i 263 della Lombardia) aprirà un nuovo negozio cittadino. È considerato un discount ma la merce, presente nella maggior parte dei casi in grossi formati per massimizzare la convenienza, sarà esposta negli scatoloni o in enormi cestoni ben curati e dall’aspetto molto elegante. Tutto il punto di vendita sarà raffinato e così ben illuminato che la “shop experience” (così dicono i maghi del marketing) sarà un’ emozione oltre che un estremo vantaggio. A poco meno di un anno dall’apertura di un’area commerciale che fa di un noto fast food e un supermercato con il suo slogan “prezzi bassi tutti i giorni” la sua arma vincente, è cominciata una battaglia per la convenienza con lo scopo, legittimo ovviamente, di fare profitti conquistando clienti consumatori e la loro fidelizzazione. Chi subirà i danni e i costi di questa battaglia? Ovviamente tutti i lavoratori del settore.
Che si tratti di maestranze impiegate nei magazzini dei centri di distribuzione e trasferite come fossero uno scatolone da movimentare, che si tratti di dipendenti di cooperative addetti al caricamento degli scaffali pagati pochi centesimi, o anche semplici commessi a cui rivolgiamo una parola quando facciamo la spesa, è lì che le aziende in questo momento vanno a tagliare: contratti a termine, organici sottodimensionati, ritmi e organizzazione del lavoro che logorano qualsiasi rapporto umano. E tutto ciò, che prende il nome di deflazione salariale, si compie all’insegna di quella parolina diabolica, comune a molti ambiti: la produttività.